Figli d’arte e non “figli di papà”. Figli fortunati, dotati di quel talento che per i padri ha significato una carriera da calciatori professionisti ai massimi livelli e che a distanza di anni sta regalando loro un’inizio di carriera folgorante. Il figlio d’arte nell’immaginario collettivo è colui che non fatica troppo, quello un po’ raccomandato: suona distorto, vedendo l’abnegazione e l’impegno con cui lavorano il figlio di Enrico e quello di Diego. Anzi, suona più che distorto perchè nel loro caso è semplicemente sbagliato.
L’esempio avuto in casa per Federco e Giovanni risulta essere fondamentale. Non dimentichiamoci che prima di essere stati colleghi e compagni di squadra c’è un grande tratto distintivo che unisce Enrico Chiesa e Diego Pablo Siemeone: l’intelligenza. L’indipendenza di giudizio anche quando si parla del proprio figlio. Simeone dopo aver giocato è diventato uno tra i migliori allenatori europei, il suo Atletico Madrid è praticamente un esempio della centralità del ruolo di un tecnico in un progetto vincente. Chiesa è riuscito a rimanere un professionista determinante fino alla soglia dei 40 anni dopo aver vinto e incantato nelle piazze più importanti della Serie A.
Ecco, nessuno di loro, nonostante il coinvolgimento diretto nella carriera dei rispettivi figli, si è mai permesso di esprimere pubblicamente un giudizio su ciò che accadeva nella vita lavorativa di Federico e Giovanni. Mai una parola sulla squadra, sulle scelte di Pioli, sullo spogliatoio, sul rinnovo di contratto. In pubblico sempre professionisti e professionali, mai non tifosi.
Silenzio assoluto anche nei momenti più difficili, nessun commento di risposta alla sparata del Presidente della Spal o alle conferenze stampa di Gasperini da parte della famiglia Chiesa. Non arriva nemmeno una parola pubblica di conforto per Il Cholito bersagliato dalle critiche durante il periodo del lungo digiuno da gol. Viene da ridere pensando alla foga messa da certi genitori su campi di provincia o alle dichiarazioni più o meno “maliziose” rilasciate da alcuni agenti. Prima del DNA tecnico è “l’umiltà congenita” la grande fortuna di Federico e di Giovanni.
Enrico Chiesa e Diego Simeone giocano insieme alla Lazio per una stagione, dal 2002 al 2003: l’ex numero 20 gigliato è reduce da un infortunio molto serio, Simeone medita il ritorno al suo Atletico dove effettivamente tornerà l’anno successivo. Nella Capitale ha vinto uno Scudetto e ha dimostrato che il feeling argentino con la l’Italia non è un caso: in maglia bianco-celeste 90 presenze e 15 goal, un interno di centrocampo tutto cuore, muscoli e inserimenti che facevano male. Se i Chiesa sono molto simili nell’atteggiamento, nella tempra, in alcune posture e nel ruolo, la storia in campo dei Simeone è un po’ diversa. C’è comunque da dire che il Cholito incarna il prototipo di centravanti “totale” che il padre ricerca sempre per il suo Atletico: dinamico, generoso, presente in ogni fase del gioco.
L’esultanza dei due, abbracciati sotto la Curva Nord è spesso messa a confronto con quelle dei loro ragazzi che quel giorno probabilmente gli guardavano da casa: due carriere enormi, difficili da ripetere, ma si sa, nel calcio niente succede per caso! E infatti non è un caso se i due talenti viola sono stati investiti giovanissimi di grandi responsabilità, se nessuno si spaventa più quando a due ventenni vengono già proposti paragoni eccellenti, quando viene chiesto loro di prendere per mano questa Fiorentina per risultare determinanti.
Foto by @Andrea Martini e @ Paolo Giuliani