E’ un calcio dove è vietato dimettersi questo. Dove non si fanno passi indietro sugli accordi economici, dove anche le figuracce e l’orgoglio hanno un valore specifico: quello dei soldi che ti sono stati promessi. Ci si nasconde dietro principi come il “coraggio” e la “coerenza” quando basterebbe ammettere che il progetto a cui si tiene maggiormente è quello incentrato sul singolo.
Si accampano scuse, si inventano fantasiose interviste, ci si costruire una realtà ideale a cui credere per convincere gli altri, si sta bene attenti a citare quell’inelegante fattore che renderebbe il tutto così poco romantico. Che nessuno si dimetta, al diavolo il bene della squadra e se vogliamo anche il proprio perché si sa, i contratti finiscono ma la tua carriera, la tua reputazione non hanno una scadenza!
Della dimensione umana di Stefano Pioli a Firenze rimarrà anche questa scelta, così coraggiosa e impopolare tra i suoi colleghi. Come rimarrà la corsa sotto la pioggia verso Federico Chiesa dopo il terzo goal segnato alla Roma, l’immagine di lui sotto il settore ospiti a Torino che con i suoi giocatori ricorda Davide Astori. Rimarrà quella conferenza stampa di disperazione prima di Fiorentina – Benevento. La sua ferma volontà nel voler rafforzare il senso di appartenenza ad un progetto per rafforzare di conseguenza anche l’identità tattica della squadra.
Eravamo arrabbiati ma sapevamo che quel pomeriggio contro il Frosinone, in quella dolorosissima sconfitta che sancì di fatto il suo fine corsa sulla panchina gigliata, non rappresentava niente di vicino a quello che è il progetto tecnico di un allenatore che può non entusiasmare ma che comunque avevamo conosciuto come molto diverso: umanamente e professionalmente Pioli dopo quei novanta minuti si è sentito completamente scaricato dalla società e piuttosto di imporsi ha preferito fare un passo indietro. Sacrilegio.
Stefano Pioli, così come Gennaro Gattuso, ha avuto il grande merito umano di non aver mai messo il proprio interesse davanti a quello della squadra, ha commesso sicuramente degli errori ma dal punto di vista della professionalità e dell’umiltà, Milan e Fiorentina saranno fortunati se ritroveranno allenatori altrettanto “per bene”.
Nel caso specifico di Stefano Pioli fu una frase sibillina pronunciata dal tecnico a far infuriare i vertici della Fiorentina: sapere che Pioli avesse già deciso il suo futuro indipendentemente dalla scelta del Club di esercitare o meno il diritto di rinnovo del contratto fu un’esternazione che la proprietà gigliata non lesse come un invito a velocizzare la programmazione per il futuro, o come il lecito moto d’orgoglio di un professionista che non ci stava a legare il suo futuro unicamente ai risultati e alle suggestioni del presente.
La partita della Fiorentina a Torino? Potremmo tranquillamente fare un copia – incolla dei 90 minuti contro Lecce, Verona e Cagliari. Una squadra spenta, disorganizzata, un gioco impostato su ritmi inquietantemente bassi, un’organizzazione scellerata sui calci piazzati e nel gioco aereo. Basta un Torino incerottato a mandare a “gambe ritte” le idee di Montella, a far saltare ogni schema e a far subentrare quella paura latente di non poter fare di più.
Commisso inizia a scalpitare, Pradè predica fiducia, temporeggia annunciando che per lo meno contro Inter e Roma la Fiorentina non cambierà la sua guida. Comprensibile punto di vista quello del DS gigliato considerando che la squadra è di fatto incompleta anche grazie ad alcune sue discutibili intuizioni.
L’impressione è che siamo davanti al “Frosione” di Montella. E viene anzi da pensare che se quel giorno contro il Frosinone i viola avessero trovato un moto di orgoglio o magari un colpo di fortuna e Pioli fosse rimasto sulla panchina viola, forse la storia della Fiorentina, di Montella e anche Pioli, di fatto più facile da licenziare con l’arrivo della nuova proprietà rispetto al collega, sarebbe stata profondamente diversa.